quadro di Chagall, Gli innamorati
Minoranze religiose

Matrimonio islamico: come funziona?

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Se ti innamori di una musulmana o di un musulmano e poi ti vuoi sposare?
L’istituto del matrimonio, centrale sia nelle società di cultura cristiana che in quelle islamiche, assume un valore e una ritualità completamente differenti per le une e per le altre. Vediamo come funziona il matrimonio islamico.

Il matrimonio per i Cristiani

Raffaello, Lo Sposalizio della Vergine
Raffaello, Sposalizio della Vergine, 1504

Per il cristiano, il matrimonio ha una doppia dimensione: naturale e sacra.

In primo luogo naturale, perché discende dal progetto della Creazione per ricostituire l’unità originaria di uomo e donna:

“Essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa”(Gen 2,23)

Sono queste le parole di Adamo alla vista della sua futura compagna. Dunque nella Genesi è messa in evidenza la complementarità di uomo e donna, che si esprime in un’esperienza di comunione ineguagliabile: la coppia sposata, simbolo del matrimonio di Cristo con la Chiesa. A questa è affidato l’importante compito di continuare il genere umano.

In secondo luogo il matrimonio cristiano, quello cattolico in particolare, ha una forte componente di sacralità, perché costituito da Cristo come sacramento:

“L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola”(Mt 19,5).

Inoltre,il matrimonio, nella concezione cristiana, riveste un ruolo simbolico fondamentale: San Paolo,in un passo classico (EF 5,22-33), parlerà dell’unione tra un uomo e una donna come di un “grande mistero”. E’ lo stesso mistero attraverso il quale Cristo si unisce alla sua sposa, la Chiesa:

“Voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”(EF 5,25).

L’amore e la fiducia nel matrimonio non sono dunque che una proiezione e una realizzazione personale dell’amore di Dio per il suo popolo, per cui acquistano una valenza mistica. Il matrimonio cristiano è innanzi tutto un’esperienza di fede, in nessun modo riducibile al suo aspetto puramente istituzionale.

Il matrimonio nell’Islam

Reza Abbasi, Young lovers, miniatura persiana della fine del XVI sec
Reza Abbasi, Young lovers, miniatura persiana, XVI sec.

Il mondo musulmano ha invece una visione molto diversa del matrimonio(nikah).

Infatti,pur trovando i suoi fondamenti e la sua regolamentazione nel Corano, questo in sé non è un atto religioso. Il nikah (matrimonio islamico) non è un sacramento, né una professione di fede, ma un contratto di puro diritto civile, in cui la dimensione religiosa è messa da parte da quella sociale.

La sua istituzione nasce infatti da una necessità sociale, quella di regolare lo sviluppo della comunità, che – come testimoniano storici quali Strabone e il musulmano Al-Bukhari – nell’Arabia pre-islamica viveva un regime di assoluta promiscuità, in cui erano perfino difficili le attribuzioni di paternità.

Il Corano interviene a regolamentare questa società matriarcale, stabilendo innanzitutto una via legittima  (halal) per la formazione della famiglia: il nikah, appunto, che tutela i figli legittimi e, “regolarizzando” i “naturali” bisogni sessuali degli uomini (naturalmente secondo la visione del tempo), li allontana dalla fornicazione, che è reato.

Il Corano getta le basi della società patriarcale stabilendo inoltre, per la prima volta, i diritti e i doveri reciproci dell’uomo e della donna: ed è proprio per assicurare la tutela più ampia possibile ad ambo le parti che l’unione in matrimonio prevede sempre la stipula di un contratto preliminare.

Il matrimonio “a tempo”

Alla stessa esigenza di organizzazione sociale, risponde l’istituto del cosiddetto matrimonio temporaneo (mut’a), molto praticato all’origine dell’islamismo: si tratta di una sorta di matrimonio a tempo determinato, (con contratto rinnovabile), nato in quel periodo storico per tutelare le due parti anche in caso di un rapporto a breve termine, quale poteva essere, ad esempio, quello di un agricoltore stagionale che si spostava periodicamente di regione in regione, con una donna indigena.

Oggi ha una diffusione limitata (!!)

Il matrimonio islamico e la Sharia

La legislazione matrimoniale islamica non affonda le sue radici nella codificazione civile, che è stata influenzata in maniera determinante dai codici occidentali, ma nella Sharia, ovvero il diritto sacro dell’islam, trasformato poi in legge nei vari stati arabi in base all’interpretazione della scuola giuridica di riferimento. A differenza della Bibbia, infatti, il Corano ha una serie di interpretazioni anche molto divergenti tra di loro.

Il diritto di famiglia fa sicuramente del nucleo di norme che,negli ultimi anni,ha opposto maggiormente resistenza ai processi di modernizzazione e occidentalizzazione del diritto islamico, e che quindi risulta più difficilmente compatibile con gli ordinamenti occidentali.

Cosa devo fare per sposare una musulmana o un musulmano?

1. Lo sposo, la sposa..e il wali

La prima condizione per concludere il matrimonio, come avviene per tutti i contratti, è il consenso delle due parti.

E’ necessario dunque l’incontro della volontà degli sposi…ma nel matrimonio islamico esiste anche una terza parte: si tratta del tutore (wali). Il wali interviene nella negoziazione di un  contratto matrimoniale generalmente in due casi.

Nel primo caso, il wali può intervenire come rappresentante della sposa: infatti,mentre nel caso del maschio la tutela (wilaya) decade al raggiungimento della pubertà, per la femmina continua, secondo questa interpretazione del Corano, in ragione del fatto che la donna, anche se adulta, ha bisogno di essere protetta nel suo peculiare e più delicato aspetto: la verginità. Come?

Si sceglie un tutore, un protettore. Il wali deve essere il parente da parte maschile (‘asab) più vicino alla sposa (in genere si tratta del padre); è questa una condizione fondamentale, poiché se lei ne scegliesse uno lontano l’ ‘asab più vicino potrebbe fare in modo di far annullare il matrimonio. Per quanto debba durare questa tutela, non c’è accordo tra le varie scuole giuridiche: secondo alcuni, solo finchè la donna è vergine; secondo altri, va estesa anche dopo; secondo una delle scuole più “morbide”, quella hanafita, la sposa può presentarsi anche da sola.

In ogni caso, soprattutto negli ultimi anni, la figura del wali, un tempo considerata unica parte contraente dal lato femminile, tende a perdere di importanza. La sempre maggiore considerazione dei diritti della donna ha portato a vederla come soggetto, e non come oggetto, di diritto al punto che oggi è sicuramente lei ad assumere la titolarità del contratto matrimoniale insieme al futuro sposo. Tuttavia, sia per motivi culturali che per rispetto delle regole sciaraitiche, l’istituto della wilaya in molti paesi islamici è rimasto, e la donna in molti casi non può autonomamente concludere il matrimonio.

Il fenomeno delle spose bambine

Il secondo caso in cui interviene la figura del wali è nella circostanza di un matrimonio precoce, cioè quando uno dei due sposi, essendo in età immatura, non è in grado di assumere la titolarità del contratto.

Quando sono troppo giovani, il potere di costrizione matrimoniale (ijbar) è esercitato dal wali sia sui maschi che sulle femmine (un po’ come nel nostro ordinamento per i minorenni). Ma, in pratica, visto che è molto più diffusa l’usanza di dare in moglie bambine ad uomini molto più grandi, che non il contrario, ha sempre pesato maggiormente sul destino delle femmine.

Sì, il destino delle femmine. Perchè, in alcuni contesti di povertà e arretratezza, è ancora oggi molto conveniente dare in sposa una bambina: sia perché la giovane età fa aumentare l’importo della dote che lo sposo sarà tenuto a versare, sia perché così il suo mantenimento ed eventualmente la sua istruzione saranno a carico del marito. Inoltre, il maschio sposato precocemente contro la sua volontà, una volta raggiunta la maggiore età, potrebbe ritornare libero attraverso il ripudio, non così invece la femmina,che sarà quindi costretta a sottostare alla decisione del suo wali.

E’ da sottolineare,comunque,che le legislazioni moderne si sono sforzate di porre un  freno al fenomeno delle spose bambine, stabilendo un’età matrimoniale al di sotto della quale non è possibile sposarsi.

Quanto alla cessazione della tutela non c’è accordo tra le diverse scuole giuridiche:  per i Safiiti questa cessa nel momento in cui la donna non è più vergine;per i Malikiti invece termina solo nel momento di emancipazione legale della donna,e cioè dopo la consumazione del matrimonio; l’unica scuola che farebbe cessare la wilaya anche per la femmina al raggiungimento della pubertà è quella hanafita, tuttavia quest’ultima ha preferito uniformare il proprio rito nuziale a quello previsto dalle altre scuole (inserendo quindi la figura del wali).

2. I testimoni

La seconda condizione necessaria per concludere il contratto matrimoniale è la presenza di due testimoni: questi devono essere musulmani, naturalmente puberi e in genere di sesso maschile; gli Hanafiti consentono che uno dei due testimoni maschi sia sostituito da due donne.

Il rito,avendo un valore essenzialmente civile, non prevede necessariamente l’intervento di un imam,o comunque di un rappresentante religioso, mentre, in base alla legislazione contemporanea, in quasi tutti gli stati arabi oggi è richiesta la presenza di un pubblico ufficiale o di un notaio che provveda a registrare l’atto.

3. Mahr: la dote

Terza e importantissima condizione è il mahr, la dote: caratteristica peculiare del matrimonio islamico,potremmo dire che il mahr costituisce il vero e proprio oggetto del contratto di matrimonio.

Con l’emancipazione della donna da semplice oggetto del contratto, che risultava essere una vera e propria vendita, a soggetto dello stesso, infatti, il donativo nuziale non è più, come in età arcaica, il prezzo pagato dallo sposo alla famiglia della sposa per “acquistarla”, ma una somma che l’uomo corrisponde alla donna stessa, che può disporne autonomamente. Il pagamento può essere immediato o posticipato tutto o in parte, a seconda degli usi locali.

I legislatori nel tempo hanno cercato di stabilire dei limiti, sia minimi che massimi, per evitare che la dote fosse talmente piccola da essere in realtà fittizia o viceversa che arrivasse a livelli troppo elevati. In ogni caso, il mahr deve essere reale, non apparente: può essere un bene mobile o immobile, purché abbia un effettivo valore.

la moglie può pretendere una clausola di monogamia (che impedisce cioè al marito di prendere altre mogli) o di autoripudio(che equivale ad una rescissione  automatica del contratto matrimoniale in presenza di determinate condizioni).

La poligamia: harem e falsi miti

Cosa intendiamo per famiglia? Il nostro sistema giuridico ne aveva una nozione ben precisa, ma ormai questa concezione, collegata al modello occidentale e cristiano della famiglia, non rispecchia più la realtà sociale.

Dalle coppie di fatto, a quelle omosessuali, alle famiglie arcobaleno, alla prospettiva multietnica: è chiara la necessità di accettare un modello pluralista, che riconosca, o per lo meno tenga in considerazione, la presenza di forme diverse di famiglia. Tra queste, possiamo certamente includere la famiglia poligamica.

La poligamia, cioè la possibilità per l’uomo di avere più mogli, ha base coranica (IV,3) e nasce in contesto storico in cui era largamente praticata (ad esempio da molti profeti menzionati nella Torah e nella Bibbia), anche per il fatto che il numero delle donne nella comunità era generalmente maggiore di quello degli uomini. Inoltre spesso la possibilità di un uomo di prendere con sé più donne dava l’opportunità di sistemarsi a donne che altrimenti sarebbero rimaste sole , come le divorziate più anziane, le vedove con figli, le prigioniere di guerra o che altrimenti sarebbero state vendute come schiave.

In ogni caso, il mito dell’harem va sfatato: il numero di mogli non può essere superiore a quattro.

Il Corano, inoltre, contrariamente a quanto generalmente si pensa, non incoraggia affatto questa pratica, e ammonisce:

“E se avete paura di non essere capaci di essere equi con loro, allora sposatene solo una”(IV,3).

Gli interpreti moderni del testo sacro associano a questo anche un altro versetto:

“E Dio sa che, per quanto ci proviate, non potete essere equi”(IV,129)

che starebbe a indicare come l’esercizio della poligamia sia in realtà irrealizzabile per l’uomo in termini di equità, e quindi in buona sostanza sarebbe meglio evitarlo. Per avere più mogli, infatti, l’uomo dovrebbe saper amare nello stesso modo ognuna di esse, offrendo loro le stesse attenzioni senza privilegiarne nessuna.

Su questa base i legislatori contemporanei hanno introdotto nei paesi islamici misure di sempre maggiore controllo e dissuasione riguardo ai matrimoni poligamici, che effettivamente sono sempre meno diffusi.

Il problema maggiore si pone ovviamente nel rapportare l’istituto della poligamia con gli ordinamenti occidentali, che puniscono in generale la bigamia.

Visto che, però, non è più possibile eludere la diversità culturale al suo interno, l’Unione Europea ha avuto una prima apertura con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata a Nizza nel 2000 e rivista nel 2007, in cui, pur non imponendo agli stati membri precise forme di attuazione della normativa, affronta il problema del diritto di famiglia affermando che sono forme legittime di matrimonio e di famiglia nell’Unione Europea tutte quelle forme riconosciute come tali dalle singole legislazioni nazionali di provenienza. Quindi, anche se, secondo l’opinione di alcuni, il matrimonio poligamico non dovrebbe avere validità in Italia perché non ispirato dal principio dell’obbligo reciproco di fedeltà, questo è invece riconosciuto dalla legge italiana, sempre che se contratto regolarmente secondo la lex loci (la legge dello stato in cui è stato celebrato). Nello stesso modo, è valido anche il matrimonio contratto da un cittadino italiano all’estero secondo le forme legittime in quel Paese.

Approfondimento sul tema della famiglia plurale 
a cura della sociologa della famiglia Chiara Saraceno

Quando non si può sposare un islamico? Gli impedimenti

Sposarsi con un musulmano o una musulmana non è sempre possibile. Esistono due tipi di impedimenti: perpetui e temporanei.

  1. Perpetui: sono la parentela di sangue (il Corano proibisce esplicitamente i matrimoni tra consanguinei); rientrano in questo ambito anche i legami che si creano tra gli sposi e i rispettivi parenti, così , ad esempio , una donna non può sposare il padre o il figlio del marito. Altra relazione equiparata a quella di sangue deriva dall’allattamento, che crea un legame perpetuo tra il bambino allattato, la nutrice e i parenti di lei. Nel diritto musulmano, infatti, il latte è assimilato al sangue e la nutrice e suo marito sono equiparati ai genitori del piccolo.
  2. Temporanei: sono ovviamente i più frequenti.

Uomo: non può sposare una donna che ha ripudiato tre volte, se questa nel frattempo non si è sposata con un altro da cui è stata a sua volta ripudiata o da cui è rimasta vedova. Inoltre non può avere contemporaneamente due mogli legate da un vincolo di parentela (ad esempio due sorelle).

Donna: non si può sposare se è in “tempo di attesa” (‘idda): se cioè aspetta un figlio (dovrà aspettare di avere partorito) oppure se è rimasta vedova da poco tempo o se è divorziata (il tempo di attesa è variabile in base alle scuole).

Infine, c’è un impedimento molto importante che ha ripercussioni di natura sociale: l’appartenenza di uno dei due sposi ad un’altra religione.

I matrimoni misti

Il Corano è molto chiaro su questo punto: agli uomini è concesso di sposare donne non musulmane, purché appartenenti alla Gente del Libro. 

Chi è la Gente del Libro? Sono quelle donne

“che appartengono alla gente cui la scrittura fu rivelata prima che a voi ” (Sura V,5)

cioè le ebree e le cristiane.

Alla donna invece in teoria è proibito sposare un non musulmano, poiché questi, a cui lei dovrebbe obbedienza, vorrebbe poi verosimilmente educare i figli e condurre la vita familiare seguendo i principi della propria religione.

Si tratta di un impedimento comunque temporaneo…poichè in realtà basta convertirsi all’Islam.

In contraddizione, peraltro, con il versetto coranico che dice: “non c’è costrizione nella religione”, chiaramente questo precetto della religione islamica discende da una concezione patriarcale che vedeva la figura dell’uomo come preminente nell’ambito della coppia e della famiglia. Si deve considerare, ovviamente, che ha precise radici storiche, e che attualmente la rigidità di questi precetti, per lo meno tra i musulmani moderati, è molto più sfumata.

La posizione della Chiesa Cattolica in merito ai matrimoni interreligiosi è abbastanza diversa.

Nelle unioni disparitatis cultus (tra due sposi di religioni diverse) l’impedimento costituito dalla differenza di religione può infatti essere dispensato in presenza di una valida motivazione, non esistono divieti. Certo, la parte cristiana dovrebbe in teoria impegnarsi a non allontanarsi dalla propria fede e a fare il possibile per educare i figli secondo la religione cattolica.

Ma poi, nella pratica e nella quotidianità della vita delle unioni miste, in genere sono i coniugi a costruire nuove forme identitarie che prendono pezzi da entrambe le tradizioni religiose, come racconta la marocchina Hanan, felicissima sposa di un ragazzo italiano.

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