Teodoro poeta Ndjock Ngana
Minoranze etniche

Intervista a Ndjock Ngana (Teodoro), poeta africano dell’intercultura

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Il poeta Teodoro e l’invisibile

 

Intercultura vuol dire che la cultura, da qualsiasi parte del mondo arrivi, ci riguarda. Tutti. Il poeta africano Teodoro, o Ndjock se preferite, ci parla di cultura: non di cultura africana, italiana o europea. Parla di cultura e umanità: e di poesia, dell’Antilope e della perfezione di un cucchiaio, che è la ricerca di Dio. Ascoltiamo?

 

Scendo dal raggio di sole

Sgorgo dalla roccia solida,

parlo la lingua della vita,

ed emano odio e amore;

lasciatemi vivere.

 

Dov’è la mia storia,

la vostra storia, la nostra storia?

(L’africano)

 

Ndjock o Teodoro? L’identità del poeta

 

Vi racconto il mio incontro con il poeta africano Ndjock Ngana, o Teodoro, come lo chiamano a Roma: il suo doppio nome rimanda alla sua identità, che, se non è doppia, si è per lo meno “complicata” da quando vive in Italia e scrive anche in italiano. Ma questo è il mio punto di vista. Il suo, invece, è che la sua anima si è pacificata, nonostante i segni lasciati dagli sconfinamenti: perché moltiplicare i punti di vista semplifica e schiarisce, non complica.

Il poeta migrante e l’intreccio invisibile

 

Sono un uomo

custode delle vesti dell’universo

che cuce con il filo della vita

ragione e sentimento.

(Il patriarca)

 

Teodoro è un poeta migrante di etnia bassa’a, gruppo etnico bantu dell’Africa centrale: per l’esattezza, è nato in Camerun. Vive in Italia da molti anni: non è uno di quelli arrivati con i barconi. Decisamente no. È un intellettuale, scrive libri e ha pubblicato varie raccolte di poesie, tra cui Nhindo-Nero (Anterem, 1994), Maeba. Dialoghi con mia figlia (Kel’Lam, 2005) e recentemente, La nostra Africa (Vis, 2017). La sua è una poesia impegnata, che si occupa di temi sociali e degli strappi del nostro tempo. Ma, contemporaneamente, lascia parlare la voce del cuore, che racconta i sentimenti e lo spirito bantu. E lo fa in italiano.  Non traduce, dice Teodoro, perché la poesia non si può tradurre. Solo viene da dentro, si esprime, in modi diversi che si intrecciano.

 

 

I poeti, i “maestri della parola”

 

Il poeta è un uomo vivo.

È un mondo di immagini, una realtà attuale ed immortale.

(Immagini)

 

Teodoro ha cominciato a scrivere poesie in Africa, insieme a suo nonno, che era un poeta bassa’a. Nella struttura sociale della comunità bassa’a (come in molte altre società africane) il ruolo dei poeti è fondamentale: per cominciare, per diventare un poeta è necessario studiare per almeno 15-16 anni l’arte dell’uso della parola. I poeti, infatti, sono considerati nella cultura bassa’a “i maestri della parola”, perché sono gli unici a sapere come usarla avendone rispetto e sono quelli a cui tutti si rivolgono quando vogliono comunicare in pubblico.

 

 

Perché gli africani cantano?

 

Qual è il compito principale del poeta? Usare la parola perché le persone non dimentichino, spiega Teodoro, perché non perdano la memoria della loro storia e della loro cultura. Come? Cantando. Cantare è aiutare la memoria, perché dimenticare qualcosa di bello, armonioso, melodioso, è più difficile. I canti e i proverbi, molti tramandati soltanto oralmente, sono stati il principale strumento delle culture tradizionali africane per resistere al colonialismo e restare vive.

 

 

La ricerca della perfezione è la ricerca di Dio

 

Cantare è anche pregare: certo, non solo nella cultura africana. Ma per gli africani, in particolare, adorare Dio che è adorarlo in tutte le cose che fa, non è questione di andare in chiesa. Devi adorare Dio a casa, tanto per cominciare, e dappertutto. Il cucchiaio con il quale mangi “deve” essere perfetto, perché quella perfezione è la ricerca di Dio.

 

 

Che cos’è l’intercultura?

 

Spoglia l’uomo dal colore della pelle,

dal colore degli occhi,

e vedrai il colore della mente.

(Colore)

 

L’intercultura è l’idea di un sapere complesso, integrato. Ho incontrato Teodoro nella biblioteca interculturale del Centro Kel’Lam, a Roma. L’idea del Centro, da più di venti anni, è quella di creare attraverso incontri, corsi di formazione, esposizioni d’arte, un’atmosfera di apertura verso le culture Altre, al di là di qualsiasi discriminazione. Quelle discriminazioni che sono dentro di noi, radicate nel nostro modo di vedere gli altri e non lo sappiamo. Come quando ho chiesto a Teodoro: “La biblioteca è stata creata da intellettuali africani?” Oggetti e libri dall’Africa mi circondavano in effetti…

 

La cultura è di tutti

 

Il poeta mi ha risposto che porre la questione in questi termini è già di per sé una discriminazione, perché crea i presupposti per dire: “Questo è mio, perché l’ho fatto io”. Invece, quello che è importante è perché un progetto è stato creato, non da chi. Adottare questa prospettiva è cambiare. Nella Biblioteca Interculturale di via Prenestina c’è Africa, Albania, Cuba, Brasile…Ponte San Giovanni e tanto altro: “Si è bravi insieme, soltanto insieme.” La cultura è cultura. È di tutti.

 

Africa…

 

Il Sud sta gemendo,

il Sud soffre molto,

il Sud è stanco

e ha le spalle a pezzi.

(Il problema del Sud)

 

“Il nuovo, se non nasce dal vecchio, che nuovo è? È una cosa paracadutata? È un meteorite?” Il nuovo, per avere senso, deve essere l’evoluzione di qualcosa che c’era prima, deve avere un’origine. E visto che tutto parte dall’Africa – mi dice Teodoro insieme ad Angela, una collaboratrice del Centro Kel’Lam – per forza di cose in una biblioteca interculturale ci deve essere tanta Africa”. Parlando di cultura africana, potremmo riflettere e soffrire, ad esempio, per come questa stia morendo nell’invisibilità più assoluta.

 

 

Quando l’Africa non è immigrazione

 

Ma non qui in Italia, precisa Teodoro. “In Italia non c’è mai stata cultura africana, perché deve morire? Una cosa che non c’è, non muore. Se uno vuole parlare di Africa qui deve andare dai padri bianchi, per esempio dagli Scalabriniani, dai Passionisti…non trovi facilmente persone che hanno a cuore l’Africa, soprattutto nelle istituzioni.” L’Africa, quando non è immigrazione, sicurezza o minaccia islamica, ma è poesia, arte e cultura diventa una realtà marginale, invisibile. Una realtà che non interessa a nessuno, tranne a chi, nella vita, si è trovato a conoscerla di persona, come capita ad esempio ai missionari cristiani. Per questo i padri missionari sono tra i pochi che ne parlano senza riferirsi a migranti e sbarchi.

 

 

 

…Italia: la cultura invisibile

 

“Se Dio sapesse dove finiscono le belle parole che ha creato…”

(Canto di fede dal ghetto)

 

Una raccolta di 800 proverbi africani: questa una delle ultime fatiche di Teodoro e dei suoi collaboratori. Una raccolta che nessuno in Italia è interessato a pubblicare: perché la cultura, e non parliamo qui della cultura Altra ma della cultura globalmente intesa, (della nostra stessa cultura, quindi), sembra non essere importante per nessuno.

Noi l’abbiamo creata, nasce dalla nostra storia. Eppure, dice Teodoro con rabbia, quanto l’italiano medio ascolta la musica lirica, così amata in tutto il mondo? Quanto legge le opere da cui si è originata la sua lingua, che determina il modo in cui adesso definiamo la nostra realtà? Il valore della cultura, che in effetti è impalpabile, non si può toccare, è diventato ora invisibile, inesistente.

 

 

Entrate nel mondo di Kel’Lam!

 

Al Centro Kel’ Lam in via Prenestina a Roma, potete trovare una ricchissima e suggestiva biblioteca interculturale (cioè composta da libri molti dei quali rarissimi, in diverse lingue e relativi a diverse culture del mondo). Ma se non vi piace leggere o non conoscete le lingue, andateci lo stesso: per voi c’è una raccolta di musica e film dal mondo e una splendida collezione di oggetti d’arte africana, molti dei quali purtroppo resi invisibili dagli spazi ristretti. Potrete trovare il Guardiano benevolo della Casa degli Anziani, Nkonde, il feticcio-specchio dei congolesi. E tante, tante Antilopi

 

https://www.facebook.com/kel.lam.7509?epa=SEARCH_BOX

 

Già, e l’Antilope?

 

E la storia dell’Antilope? Tanto per capire, mentre parlavo con Teodoro ero circondata da sculture di antilopi, bellissime, in legno. Cioè, mi è stato spiegato che si trattava di raffigurazioni simboliche di antilopi. “L’Antilope riguarda la vita nella cultura africana…non se ne può parlare in un’ora o in un giorno…”Antilope

Insomma, Teodoro è stato categorico: ha detto che non avevamo abbastanza tempo per parlare anche dell’Antilope. Se voglio sapere della storia dell’Antilope dovrò tornare a trovarlo. Che dite?

 

Amo un paese

dove il sì è sì;

dove con “tieni”, ricevi;

nel quale si può vivere,

non solo sopravvivere;

 

Un paese, dove?

 

Dove si può rimpiangere

Di morire.

(Desiderio)

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