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Perché è importante capire come sono nati i ghetti
Come mai l’ebreo è spesso considerato una persona strana e minacciosa? E perché parliamo ancora di antisemitismo nel 2019? Il popolo ebraico non era il Popolo di Dio? Vediamo come mai da “eletti”, gli ebrei sono diventati una minoranza emarginata e sospettata, i cosiddetti “outsiders”. E, nel contempo, chiediamoci perché ancora oggi ci sono minoranze che vengono spinte a isolarsi e a sprofondare nell’invisibile da chi non vuole vedere.
Ebreo in preghiera, Marc Chagall
Che cos’è la Diaspora?
La Diaspora, cioè la dispersione del popolo ebraico nel mondo, ha inizio nel 70 d.C., quando i Romani conquistano Gerusalemme, e arriva al culmine intorno al 133 d.C quando, dopo una violenta rivolta, il Tempio viene distrutto ed è vietato agli ebrei persino di avvicinarsi a Gerusalemme, la loro città santa. Da questo momento, la maggior parte degli ebrei abbandona la Palestina e comincia a migrare verso il Medio Oriente e l’Europa. L’esperienza del popolo ebraico dopo la diaspora come esempio di gruppo sociale emarginato dalle società di accoglienza è stato molto studiato, dalla sociologia tedesca e americana soprattutto, per le sue caratteristiche particolari. La storia degli ebrei porta con sé il significato di una realtà culturale, sociale e simbolica del tutto unica. Vediamo perché.
Gli ebrei come i neri
Gli osservatori americani dei primi anni del Novecento consideravano il gruppo degli ebrei al livello dei neri nella discutibile graduatoria delle “razze”umane, quindi tra le posizioni più basse. Ecco cosa afferma Charlotte Perkins Gilman, studiosa e scrittrice (che peraltro era considerata una progressista):
“Ebrei e afroamericani sono un esempio di un arresto nell’evoluzione.”
Gli ebrei, (insieme, tanto per ricordarlo, agli italiani) sono ritenuti quelli, tra i migranti, con maggiore difficoltà di adattamento agli usi, costumi e valori della società dei gentili. Chi sono i gentili? “Gentili” è il termine con cui gli ebrei definscono tutti i non ebrei: la parola deriva dal latino “gentes”, “gente”, e, nella tradizione biblica, stava per “pagani”. Gli ebrei provenienti dall’Est europeo sono giudicati particolarmente rigidi, perché seguaci degli insegnamenti rabbinici e chassidici (il Chassidismo è un movimento di rinnovamento spirituale ebraico nato nell’Europa dell’Est intorno al 1700).
L’identità ebraica è la minaccia
Gli ebrei, però, sono molto abili nelle attività economiche, soprattutto nel commercio e nella finanza, per cui sono anche in grado di fare pressioni e richieste alle istituzioni. Anche se culturalmente e socialmente sono ai margini della vita pubblica, dal punto di vista economico sono fondamentali nello sviluppo della società. Ma a questo successo non corrisponde un’immagine sociale positiva: al contrario, si dice che gli ebrei siano astuti, falsi, avari (ecco perché le loro attività vanno a gonfie vele), invadenti, rumorosi e che pensino solo al benessere del loro gruppo. Hanno un’identità altra e potente, non assimilabile a quella nazionale, e per questo profondamente minacciosa. Gli ebrei diventano il capro espiatorio per gli squilibri di una società che non offre le stesse opportunità a tutti.
Che cosa significa “ghetto”?
Ed ecco l’origine sociale del ghetto. La parola “ghetto” deriva da “geto” che, nella parlata veneziana del 1400, significava “getto”, nel senso di colata di metallo. Questo perchè il primo quartiere ebraico era all’origine una fonderia di rame nel territorio di Venezia. Tutti sappiamo che, per molti anni, gli ebrei sono stati costretti a vivere separatamente dagli altri abitanti delle città, in zone isolate chiamate “ghetto”, sia in America che in Europa. Tuttora, anche a Roma vediamo i segni, nell’urbanistica, dell’antico Ghetto Ebraico nei pressi di Trastevere, dove si trova ancora oggi il Tempio Maggiore, la sinagoga principale. Il sociologo americano Robert Park (Scuola di Chicago, dove c’era un enorme Ghetto) ha definito il ghetto:
“Una delle più sconcertanti e tragiche situazioni della storia.”
Il ghetto, infatti, è un luogo di isolamento fisico e spaziale, ma soprattutto morale, oggi legato in particolare alla memoria storica del nazi-fascismo. Ma qui non vogliamo parlare del ghetto coatto. Gli ebrei, infatti, cominciarono ad isolarsi in zone separate molto prima di essere costretti a farlo dallo stato. Perché?
Perché sono nati i ghetti?
La segregazione delle persone di origine ebraica nei ghetti nasce da motivazioni diverse. Un primo motivo si può ricondurre ad una volontà esterna alla comunità ebraica, cioè a decisioni politiche che avevano l’obiettivo di colpire un gruppo sociale di minoranza, sì, ma con un senso di appartenenza così forte alla propria religione e alla propria cultura di origine che si riteneva impossibile farlo integrare con il resto della società e, a quel punto, poteva diventare pericoloso per l’ordine pubblico. Ma questo non spiega del tutto il fenomeno: c’è anche, infatti, una parte di volontarietà degli ebrei a isolarsi, nella creazione del ghetto e nel suo perpetuarsi per secoli a partire dal 1400.
La nascita del ghetto volontario
Gli stessi ebrei, nel tempo, hanno agevolato e accettato questa separazione spaziale, perché non si sentivano accettati dal resto della società. Nel ghetto potevano continuare a praticare le loro tradizioni e la loro religione in un ambiente isolato ma protetto, in cui non essere giudicati e trattati da diversi, da estranei. Solo in questo ambiente un ebreo si sentiva parte di una comunità in cui creare relazioni umane intime e spontanee, senza dover dare continuamente spiegazioni sulla diversità del proprio punto di vista sulla vita:
“Il ghetto offriva una liberazione. Il mondo esterno era freddo ed estraneo, in quanto il contatto con esso era limitato a rapporti astratti e razionali. Ma entro il ghetto egli si sentiva libero: i rapporti con i suoi fratelli Ebrei erano caldi, spontanei, intimi.”
Con il passare del tempo, le barriere del ghetto isolarono sempre di più gli ebrei dal resto della popolazione, con cui restavano dei contatti, ma soltanto di tipo formale, come quelli di lavoro.
I ghetti esistono ancora: le minoranze nei “mondi a parte”
Oggi gli ebrei non si confinano più nei ghetti. Ma questo non vuol dire che i ghetti siano scomparsi. Si può dire che le periferie moderne ai margini delle grandi città abbiano molti dei caratteri del ghetto ebraico, perché riproducono una condizione di segregazione esistenziale. In questo caso, non è più rivolta a colpire una specifica etnia, ma diventa universale: basta essere una minoranza svantaggiata e si precipita nell’invisibile, anche dal punto di vista spaziale. O forse no, si viene volutamente spinti nell’invisibile da chi non vuole vedere, perché questi luoghi di sofferenza e di emarginazione è impossibile non vederli. Sono una nota che stona, un pugno nello stomaco, che avrebbe bisogno di interventi e risorse e quindi è più facile scegliere di non vederli. Tranne per chi ci vive, che cerca di dare un senso nuovo a questi “mondi a parte”.
Gli intellettuali ebrei, da Marx ad Einstein
La sociologia tedesca ha contestato l’idea della marginalità culturale degli ebrei, nonostante il loro isolamento sociale. Gli studiosi vogliono farci riflettere sull’apporto che, al contrario, gli intellettuali ebrei hanno sempre dato, e più di altri, allo sviluppo della conoscenza, della scienza e al mutamento sociale in generale dell’Europa Moderna. È stato osservato che questa particolare attitudine intellettuale probabilmente si può ricondurre proprio alla marginalità sociale: l’ebreo, trattato da estraneo, ha sviluppato un senso critico e una riflessività superiore agli altri, perché non si è trovato nella condizione di dover aderire in modo passivo a norme e valori sociali che non gli appartenevano. Questo lo ha reso
“un leader creativo dell’impresa intellettuale mondiale”
un portatore di cambiamento, anche se irrequieto e sofferente, perché l’esperienza dell’etichettamento etnico lascia comunque le sue tracce. Sono intellettuali ebrei: Einstein, Freud, Marx, Kafka, Levi-Strauss.
Come sarebbe stata la storia dell’umanità senza di loro?